Se la morte sia cosa buona, o cattiva

di Roberto Bellarmino

Da Dell’arte di ben morire, traduzione in volgare di Marcello Cervini, Brescia 1622 (ed. or. 1620). Prefazione.

[La grafia è stata conservata, tranne che per le f/s e le u/v. I riferimenti biblici, nell’originale posti a margine, sono nel testo tra parentesi quadre].

Considerando io mentre, che secondo il mio solito ritiratomi, e abbandonati i negotij publici, solo à me stesso attendo, qual sia la cagione, perche pochissimi cerchino d’imparare l’Arte di ben morire, che a tutti dovrebbe esser notissima, altro non mi sovviene, se non quello che dice il Savio [Eccl. 11.]; essere infinito il numero de’ pazzi, peroche qual pazzia si può fingere, ò imaginar maggiore, quanto che disprezzar quell’arte, dalla quale dipendono beni supremi, e sempiterni, e grandemente affaticarsi per imparare, e con non minor diligenza esercitarne molte, e quasi innumerabili per conservare, ò vero accrescere i beni transitorij? Et in vero, che l’arte di ben morire sia d’ogni altra la maggiore, non lo negarà alcuno, che vorrà attentamente considerare [Mat. 12], doversi nella morte render conto a Dio di tutto quello, che in vita nostra havremo fatto, detto, ò pensato, e fin d’una parola otiosa; essendone accusatore il diavolo, testimonio la coscienza, e giudice Iddio; e dovendone riportare una pena di sempiterna morte, ò vero un sempiterno premio. Giornalmente veggiamo, che soprastando la sentenza di cose, benche minime, quelli, che litigano, non riposano mai; ma hor ricorrono da gli Avvocati, hora da Procuratori, hora da Giudici, hora da gli amici di essi; E nella morte, che la causa d’una vita, ò sempiterna morte stà in mano del Giudice supremo, spesse volte il reo senz’alcuno apparecchio, sopraffatto dal male, & appena in cervello viene sforzato, render conto di quelle cose, che mentre stava sano, forsi né meno ha mai pensato. Di qui è, che i miseri mortali si precipitano a schiere nell’Inferno, e come parla S. Pietro [2. Pt. 4.]; Se appena si salvarà il giusto, dove vedransi l’empio, & il peccatore? Hò dunque giudicato cosa utilissima indur me stesso, e poi i miei fratelli a far pregio dell’arte di ben morire; e se di quelli vi sono, che da più dotti maestri non l’habbino ancora imparata, non dispreggino almeno quel tanto, che di essa habbiamo cercato raccorre dalle scritture sante, e dalle dottrine degli antichi Maestri.

Ma prima di venire a’ precetti di quest’arte, hò stimato per giovevol cosa trattare della natura della morte, se essa di deva fra le cose buone ò male annoverare. Et in vero la morte si consideri assolutamente, senza dubbio alcuno si deve tener per mala, come quella, che si oppone alla vita, quale non possiamo negare, che non sia buona. Occorre in oltre, che la morte non la fece Iddio, ma fù introdotta dal Diavolo, come insegna il Savio [Sap. 1. & 2.]; al quale si sottoscrive Paolo Apostolo, mentre che dice [Rom. 5.]. Per mezzo d’un’huomo entrò nel mondo il peccato, e per emzzo del peccato, nel quale tutti peccarono, la morte. E certamente se la morte non la fece Iddio, ella non è buona; essendo solamente buono quello, che fece Iddio, dicendo Mosè [Genes. 1.]. Vidde iddio tutte quelle cose che haveva fatto, & erano molto buone.

Ma anche la morte non sia in se stessa buona, seppe nondimeno la divina sapienza talmente quasi addolcirla, che di essa ne possino scaturire molti beni. Di qui è, che David canta [Ps. 115.], Pretiosa essere nel cospetto del Signore la morte de Santi suoi. E la Chiesa parlando di Christo dice, Il quale morendo distrusse la nostra morte, e risuscitando racquistò la vita. Certamente la morte, che distrusse la morte, e racquistò la vita, non potè essere se non molto buona; onde se non ogni morte, almeno qualcheduna si deve dire, che sia stata buona. Di modo che S. Ambrogio non dubitò di intitolare un libro de bono mortis, dove apertamente dimostra, che la morte, benche sia nata dal peccato, porta nondimeno con sé non piccole utilità. Evvi finalmente un’altra ragione, la quale dimostra la morte, benche mala, poter nondimeno per mezzo della Divina gratia produrre molti beni. E primieramente un bene riceviamo dalla morte, che ella pon fine alle molte, e grandissime miserie di questa vita. Giob il santo diffusamente si lamenta delle miserie della presente vita, e dice [Iob. 14.] Homo natus de muliere brevi vivens tempore, repletur multis miseriis, cioè l’huomo vive un tempo brevissimo, & è pieno di miserie. L’Ecclesiaste [Eccl. 4.] Hò lodato più i morti, che i vivi, e più di tutti questi due hò riputato felice colui, che né meno è nato, né ha visto gli eccessi, che nel mondo si fanno. Ma l’Ecclesiastico aggiogne, e dice [Eccl. 40.]. È stato imposto un grave peso a tutti gl’huomini, & un grave giogo è stato messo a’ figliuoli di Adamo dal giorno che nascono, fin’al giorno della morte. L’Apostolo ancora si lamenta delle miserie di questa vita, e dice [Rom. 7.]. Un’huomo infelice son io, chi mi libererà da questo corpo mortale?

Con questi testimonij dunque della sacra scrittura, abbastanza si prova la morte avere in sé questo di buono, di liberare l’huomo dalle molte miserie della presente vita. In oltre un più eccellente bene produce la morte, facendosi porta dalla prigione al Regno. Questo fù dal Signore rivelato à S. Giovanni Evangelista, & Apostolo, mentre egli per la fede stava esule nell’Isola di Patmos. Hò sentito )dice) [Apo. 14.] una voce dal Cielo, che mi diceva; scrivi: Beati i morti, che muoiono nel Signor. Già dice loro lo spirito, che per l’avenire riposino dalle loro fatiche; perche l’opere di essi gli accompagnano. Beata è certo la morte de Santi, che per ordine del Rè celeste cava dalla prigione di questa carne l’anima, e la conduce al regno dei Cieli; dove l’anime sante dalle fatiche loro dolcemente si riposano, e per mercede delle buone opere ricevono la corona del regno. Ma all’anime ancora, che vanno nel purgatorio la morte apporta un non piccolo beneficio, liberandole dal timore dell’Inferno, e rendendole sicure della futura, e sempiterna felicità. Ma che? all’istesse anime reprobe ancora, par che la morte apporti un non so che di utilità, mentre che separandole dal corpo, opera, che la misura delle pene loro non diventi maggiore. Per queste segnalate utilità non par la morte agli huomini più horribile, ma piacevole: non terribile, ma amabile. Perciò Paolo Apostolo con sicurezza sclama [Philip. 1]. Mihi vivere Christus est, & mori lucrum; desiderando di morire, e vivere con Christo. E nella prima lettera a’ Tessalonicensi [1 Tes. 4.], avverte i buoni Christiani, che non si piglino dolore della morte de i loro amici, né li pianghino come morti, ma li considerino come addormentati. Ma visse ancora a’ tempi de nostri maggiori una santa donna, chiamata Catherina Adorna Genovese, la quale con sì grande ardore amava Christo, che con incredibile desiderio bramava di morire, & andarsene dal suo diletto; perilche quasi innamoratasi della morte, spesso come bellissima la lodava: Solo in essa riprendendo, che fuggisse chi la cercava, e cercasse chi la fuggiva. Vegga il lettore la vita della beata Catherina Genovese al capo settimo.

Conchiudiamo dunque da quello, che noi habbiamo detto, la morte essere cattiva, come prole del peccato, ma dalla gratia del Signore, che si degnò morir per noi, essere divenuta in molti modi utile, e salutare, amabile, e desiderabile.

Bellarmino-1

Lascia un commento